ATTIVITA’ SOGGETTE A AUTORIZZAZIONI, LICENZE, S.C.I.A.: SI ALL’INFORMATIVA ANTIMAFIA
Con sentenza n. 565 del 9 febbraio 2017, la Sez. III del Consiglio di Stato ha confermato che anche le attività soggette al rilascio di autorizzazioni, licenze o a s.c.i.a. soggiacciono alle informative antimafia.
A tal fine, rimarca la differenza tra “comunicazione antimafia” e “informativa antimafia”:
- la “comunicazione antimafia” è costituita da un’attestazione circa l’assenza di misure di prevenzione penale o condanne per alcuni gravi delitti. Essa è necessaria per il rilascio di autorizzazioni, licenze o a s.c.i.a. ed è autocertificabile dall’imprenditore
- l’“informativa antimafia” è costituita invece da una valutazione del Prefetto sul rischio di infiltrazione mafiosa, fondata non solo sulle condanne ma anche su altri elementi (rapporti di polizia, cointeressenze economiche, frequentazioni).
L’informativa costituisce quindi uno strumento di prevenzione molto più avanzato. Essa era necessaria – secondo la precedente normativa – solo quando l’impresa doveva stipulare contratti con l’Amministrazione, ricevere sovvenzioni, o sfruttare economicamente beni pubblici.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che la tradizionale distinzione tra le comunicazioni antimafia, applicabili agli atti autorizzativi ed abilitativi, e le informative antimafia, applicabili a contratti pubblici, concessioni e sovvenzioni pubbliche, non si ponga più in un rapporto di necessaria alternatività, come nella legislazione anteriore al nuovo codice delle leggi antimafia. Gli effetti di questa distinzione sono venuti meno con l’istituzione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia (art. 2, l. 13 agosto 2010, n. 136).
La distinzione tra i due strumenti – secondo il Consiglio di Stato – ha fatto sì che le associazioni di stampo mafioso potessero, comunque, gestire tramite imprese infiltrate, inquinate o condizionate da essa, lucrose attività economiche, in vasti settori dell’economia privata, senza che l’ordinamento potesse efficacemente intervenire per contrastare tale infiltrazione, anche quando, paradossalmente, a dette imprese fosse stata comunque interdetta la stipulazione dei contratti pubblici per effetto di una informativa antimafia”.
Ciò comporta in pratica che, anche quando si tratta di attività soggette ad autorizzazione, in cui al Prefetto si chiede di emettere solo una comunicazione antimafia, egli possa comunque eseguire gli accertamenti tipici dell’informativa invece di limitarsi a riscontrare semplicemente l’assenza di misure definitive di prevenzione o di condanne.
La valutazione prefettizia deve comunque fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti che, alla stregua della «logica del più probabile che non», consentano di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo, e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico.